IL CONFERIMENTO DI CRIPTOVALUTE IN SOCIETÀ DI CAPITALI

L’interesse verso il mondo delle criptovalute è  in continua crescita. Tra le interessanti questioni che si sono poste, e che sembrano destinate a verificarsi sempre con maggior frequenza, vi è la possibilità di conferire criptovalute in società di capitali.
A livello nazionale, gli ultimi riferimenti giurisprudenziali in materia sono le pronunce del Tribunale e della Corte di Appello di Brescia – Decreto n. 7556/2018 del 18 luglio 2018 e Decreto n. 207/2018 del 24 ottobre 2018 – le quali hanno entrambe negato il conferimento di criptovalute in società di capitali, ma con motivazioni molto differenti.
Oggetto del giudizio era quello di una società a responsabilità limitata che, dopo aver deliberato un aumento di capitale, aveva previsto che lo stesso venisse eseguito con trasferimento di criptovalute. È bene ricordare che nella società di capitali i conferimenti devono rientrare in una delle seguenti tre tipologie (i primi due per le s.p.a., tutti e tre per le s.r.l.):

  • Conferimenti in denaro (art. 2342 c.c.);
  • Conferimenti in natura (artt. 2343 e 2464 c.c.);
  • I servizi/prestazioni del socio (art. 2464 comma 6 c.c.).

Il Tribunale e la Corte d’Appello hanno qualificato il conferimento di criptovalute in modi differenti, il primo come conferimento in natura, il secondo come conferimento in denaro.
In sede di primo grado, la decisione del Tribunale di Brescia non ha negato totalmente l’am missibilità del conferimento di criptovalute bensì ha escluso la possibilità di conferire la sola criptomoneta oggetto di quello specifico giudizio, cioè le OneCoin. La ragione dell’esclusione è stata che tale moneta non risultava suscettibile di valutazione economicaOneCoin, infatti, era sfornita di piattaforme di exchange che permettessero lo scambio della stessa con altre criptovalute o con monete aventi corso legale, con la conseguente impossibilità di fare affidamento su prezzi attendibili discendenti da dinamiche di mercato. L’unico mercato sul quale operava OneCoin, era una piattaforma “autoreferenziale”, che permetteva unicamente l’acquisto di beni/servizi riconducibili agli stessi ideatori della criptovaluta.
Tuttavia, tralasciando lo specifico caso della moneta OneCoin, il Tribunale ha analizzato la questione ammettendo il conferimento in società di capitali di cryptocurrencies, a condizione che queste presentino tre caratteristiche:

  • Siano scambiabili su mercati di scambio con valute avente corso legale;
  • Idoneità ad essere oggetto di valutazione economica;
  • Possibilità di essere aggredite in fase di esecuzione.

Sulla base di ciò, nonostante molte criptomonete siano ben lontane dal soddisfare tutti e tre i requisiti, allo stesso modo ne esistono alcune che, invece, appaiono idonee a soddisfarli (sicuramente con riguardo ai primi due punti, mentre il terzo aspetto meriterebbe un’ulteriore analisi, in ragione delle difficoltà nell’accedere ai wallet da parte di terzi diversi dal proprietario).
Per ultimo, come anticipato, è importante evidenziare che il Tribunale ha qualificato il conferimento di criptovalute come un conferimento in natura, sulla base del presupposto che i conferimenti in denaro devono essere effettuati con la sola moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento (v. art. 1227 c.c.), e cioè in euro.
In questo senso, la qualifica come conferimento in natura comporta che – allo stesso modo dei conferimenti aventi ad oggetto valute estere (dollaro, yen etc.), oppure beni immobili o beni mobili – quanto conferito debba essere assoggettato ad una perizia di stima che ne determini il valore di mercato.
In questo caso quindi, poiché sarebbe stata necessaria una perizia di stima ma la criptovaluta OneCoin veniva giudicata non suscettibile di valutazione economica per i motivi già evidenziati, il Tribunale escludeva il suo conferimento a società di capitali.
Radicalmente distinto è l’iter logico seguito dalla Corte d’Appello di Brescia nella risoluzione della causa, la quale è giunta ad escludere a priori il conferimento di qualsiasi criptovaluta a società di capitali.
Il ragionamento della Corte si è fondato su quattro punti:

  • la criptovaluta deve essere assimilata sul piano funzionale al denaro;
  • la criptovaluta va considerata come monetaper l’acquisto di beni e servizi;
  • la criptovaluta non è quindi equiparabile a dei beni, i quali possono essere acquistati con denaro;
  • il valore della criptovaluta non può essere determinato a mezzo della procedura ex 2465 c.c., poiché non è un bene ma, appunto, una moneta.

I Giudici hanno ritenuto che la criptovaluta debba essere assimilata al denaro, ed in quanto tale non può essere conferita alla società attraverso la procedura ex art. 2465 c.c., dedicata ai conferimenti in natura. Sulla base di ciò, l’unica soluzione per ammetterne il conferimento, sarebbe la qualifica di conferimento in denaro.
Sempre la Corte, tuttavia, giunge ad affermare che le criptovalute non possono nemmeno essere oggetto di un conferimento in denaro, poiché quest’ultimo è possibile unicamente quando si tratti di moneta avente corso legale, cioè il solo euro. La Corte d’Appello di Brescia ha poi affermato, in conclusione dell’iter logico seguito, che non esisterebbe un sistema di cambio per le criptovalute che sia stabile e facilmente consultabile come avviene, invece, per le monete aventi corso legale in altri Stati.
In questo modo, la Corte è andata a escludere radicalmente la possibilità di conferire criptovalute, differentemente dal Tribunale che, a ben vedere, aveva lasciato più di uno spiraglio aperto.
Va segnalato che la decisione della Corte si presta a diverse osservazioni:
Qualora si assimilasse le criptovalute alla moneta, non si può escludere, a priori, che possano essere oggetto di conferimento in natura. I conferimenti in valuta estera, infatti, rientrano nella tipologia di conferimento in natura, e per la loro effettuazione, in ragione della fluttuazione dei tassi di cambio, vengono sottoposti ad una perizia di stima del valore di mercato. Allo stesso modo, quindi, anche le criptovalute dovrebbero poter seguire il medesimo procedimento.
Poco condivisibile è, inoltre, quanto rilevato dalla Corte ove sostiene che non esisterebbe un sistema di cambio per le criptovalute. In realtà il numero delle piattaforme di exchange che permettono il cambio tra criptovalute e valute fiat è elevato e in continua crescita.
Sulla base di quanto visto, appare probabile che, anche a seguito della crescita, sia in termini tecnologici che di visibilità, del mondo delle criptovalute e della tecnologia blockchain, la posizione della giurisprudenza dovrà evolvere ed allinearsi alle esigenze del mercato. L’incognita maggiore resta, quindi, l’impossibilità di assoggettare le criptovalute ai procedimenti di esecuzione forzata senza la cooperazione del titolare del wallet, il quale è l’unico possessore della chiave privata e pertanto l’unico che ha la possibilità di accedervi.

 

 

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